Dagli adolescenti alle persone anziane, il dolore al ginocchio può interessare moltissime categorie di pazienti differenti.
Questo avviene perché, sebbene esistano ovviamente dei fattori di rischio comuni, sono diverse le condizioni e le patologie che possono determinare un tale sintomo. Le patologie che possono essere responsabili del dolore sono molte e molto diverse fra loro: da una semplice tendinite, che può colpire a qualsiasi età ed è di solito causa di dolori solo nel corso dell’attività fisica, alla lesione del menisco o del legamento crociato anteriore, fino alla gonartrosi che è presente in moltissimi fra i pazienti meno giovani. Anche alcune patologie autoimmuni e del metabolismo [come la gotta, il lupus, le varie forme di artrite ed il diabete] possono essere determinanti nella genesi del problema ed intensificarne effetti e sintomi. 𝐃𝐢𝐬𝐭𝐨𝐫𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐠𝐢𝐧𝐨𝐜𝐜𝐡𝐢𝐨 Il meccanismo che provoca la distorsione, in genere, è una torsione del ginocchio verso l’esterno o verso l’interno. A seguito di un movimento scorretto o di un colpo particolarmente violento, si può infatti verificare un trauma che, pur non lesionando completamente uno [o più] dei legamenti che stabilizzano il ginocchio, provoca un danno che causa dolore. Non è raro un trauma del genere in sport cui sono previsti cambi di direzione repentini, come, ad esempio, nello sci o nel tennis: questi movimenti possono portare ad una torsione eccessiva della gamba, che va tenuta sotto controllo immediatamente. 𝐀𝐫𝐭𝐫𝐢𝐭𝐞 𝐞 𝐀𝐫𝐭𝐫𝐨𝐬𝐢 Si tratta di due termini che sono spesso confusi fra loro ed indicano condizioni differenti [che purtroppo possono coesistere]. L’artrosi è una condizione patologica che determina il deterioramento delle cartilagini che normalmente servono proprio a ridurre l’attrito fra le superfici articolari. Il deterioramento delle cartilagini può essere una conseguenza del normale processo di invecchiamento dei tessuti oppure di traumi o sovraccarichi di lavoro. L’artrite è invece una malattia autoimmune, le cui cause non sono ancora state perfettamente chiarite. Può colpire chiunque, a qualsiasi età, anche se è più diffusa nel sesso femminile ed in età avanzata. Scatena l’infiammazione delle articolazioni, alimentando sintomi dolorosi. Può arrivare a determinare la deformazione delle articolazioni che “attacca” con ovvie ripercussioni sulla qualità della vita di chi ne è affetto. 𝐋𝐞𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐦𝐞𝐧𝐢𝐬𝐜𝐚𝐥𝐢 Le patologie meniscali, come la rottura di un menisco, ha essenzialmente origine traumatica. Il menisco è sostanzialmente una guarnizione che serve per proteggere la cartilagine e favorisce la cinetica del ginocchio; la medicina e la chirurgia si sono molto evolute nel tempo e – ad oggi – l’approccio è molto più conservativo per questo tipo di lesioni. Mentre in passato bastava una diagnosi di menisco lesionato o degenerato, attraverso risonanza magnetica, per eliminare chirurgicamente il menisco, oggi si cerca di essere selettivi, cercando di suturarlo. L’operazione di rimozione avviene oggi solo in presenza di lesioni instabili e di blocchi articolari o, ancora, si cerca di procedere con una meniscectomia selettiva, cercando di ricreare il più possibile la forma anatomica del menisco stesso. 𝐋𝐞𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐥𝐞𝐠𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨𝐬𝐞 La rottura del legamento crociato anteriore viene oggi riparata con tecniche ricostruttive sempre più innovative che portano ad un recupero intorno al 100%. Una volta si tendeva ad operare soltanto gli atleti sportivi professionali: oggi le indicazioni si sono molto allargate in quanto anche persone di una certa età che praticano sport e che quindi hanno un’esigenza funzionale importante, possono sottoporsi a questo intervento di ricostruzione legamentosa. Soprattutto in un chirurgo che crede molto nella ricostruzione artroscopica quest’intervento viene fatto per ridare una stabilità il più possibile anatomica al ginocchio, e per evitare eventuali deformazioni artrosiche che possono portare all’artrosi di ginocchio e alla protesica. Ricostruire un crociato in una persona – indipendente dall’età – con delle esigenze funzionali importanti e una buona cartilagine, può salvare il ginocchio dall’artrosi. 𝐈𝐥 𝐦𝐞𝐭𝐨𝐝𝐨 𝐏.𝐎𝐋.𝐈.𝐂.𝐄. Oggi vogliamo invece concentrarci su cosa fare per rimediare al dolore al ginocchio lieve, analizzando in particolare un metodo comunemente usato in questi casi, ovvero il metodo P.OL.I.C.E. ⟶ 𝐏 = 𝐏𝐫𝐨𝐭𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 Proteggere [senza immobilizzare definitivamente] l’area infortunata per evitare ulteriori danni ai tessuti. Questo può avvenire, ad esempio, utilizzando delle stampelle; ⟶ 𝐎𝐋 = 𝐎𝐩𝐭𝐢𝐦𝐚𝐥 𝐋𝐨𝐚𝐝𝐢𝐧𝐠 [𝐂𝐚𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐨𝐭𝐭𝐢𝐦𝐚𝐥𝐞] Ovvero stimolare il processo di guarigione dei tessuti danneggiati con la giusta quantità di carico e di attività. Questo è il punto chiave del nuovo protocollo, che si discosta dalla più vecchia ipotesi di riposo assoluto. È compito dell’équipe riabilitativa indicare quale sia tale quantità di carico; ⟶ 𝐈 = 𝐈𝐜𝐞 [𝐠𝐡𝐢𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨] Avvolgere del ghiaccio in un telo e metterlo a contatto con il ginocchio. La bassa temperatura ridurrà l’infiammazione causata dall’aumento del flusso sanguigno. Si consiglia di tenere in posizione il ghiaccio sul ginocchio per non più di 20 minuti consecutivi e per un minimo di 3 volte al giorno; ⟶ 𝐂 = 𝐂𝐨𝐦𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 Applicare una medicazione alla zona colpita aiuterà a ridurre l’infiammazione e il gonfiore che ne risulta. Una volta bendata l’area, bisogna assicurarsi che la fasciatura non sia troppo stretta e che quindi il ginocchio non si senta costretto, ma possa mantenere una certa mobilità. Nel caso in cui la medicazione risultasse troppo stretta, consigliamo di applicarla nuovamente e di utilizzare una benda elastica [non plastica]; ⟶ 𝐄 = 𝐄𝐥𝐞𝐯𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 Sembra un classico rimedio della nonna, ma mantenere il ginocchio distorto in posizione elevata può davvero aiutare ad alleviare il dolore. L’ideale sarebbe posizionare il piede su una superficie morbida ad una altezza più alta del cuore. In presenza di infiammazione il corpo tende a far arrivare il sangue al sito infiammato. Facendo defluire il sangue, mantenendo la gamba elevata, si allevia l’infiammazione allontanando i mediatori chimici dell’infiammazione. La fisioterapia è molto importante Il dolore alla spalla è uno dei sintomi più comuni nelle persone che hanno superato i 40 anni di età: per diffusione nella popolazione è secondo solo al mal di schiena.
𝐈𝐧𝐭𝐫𝐨 Può essere di intensità differenti, manifestandosi come un leggero fastidio quando si muove il braccio, oppure come un dolore intenso presente anche di notte, di solito accompagnato da una limitazione dei movimenti. 𝐂𝐚𝐮𝐬𝐞 La causa più frequente del dolore alla spalla è l’infiammazione di uno [o più] tra i tendini che permettono la maggior parte dei movimenti del braccio. Questi tendini sono quattro: il sovraspinato; il sottoscapolare; il piccolo rotondo; il sottospinato. A questa si aggiungono le 5 principali patologie: ⟶ sindrome da impingement; ⟶ tendinite calcifica; ⟶ lesione alla cuffia dei rotatori; ⟶ spalla congelata; ⟶ lussazione. 𝐒𝐢𝐧𝐭𝐨𝐦𝐢 Spesso il dolore sveglia di notte e nessuna posizione sembra dare sollievo; oppure si manifesta nel compiere movimenti normalissimi, come sollevare il braccio per prendere un barattolo o indossare la giacca. Una volta escluso che i sintomi possano derivare da una causa non meccanica [ad esempio l’artrite reumatoide, una patologia autoimmune che può determinare dolore articolare], identificare la sede del dolore con l’aiuto di uno specialista ci può essere d’aiuto nel comprendere quale sia il rimedio più opportuno da adottare per risolvere il problema. Il dolore può infatti interessare diverse parti della spalla: ⟶ localizzato sul lato esterno, riguarda spesso la cuffia dei rotatori e può essere causato da borsite o tendinite; ⟶ nella parte posteriore può interessare il muscolo trapezio: talvolta scaturisce da una borsite o da una contrattura muscolare; ⟶ nella parte anteriore può derivare da una tendinite o dalla sindrome di impingement ed è spesso conseguenza di problemi nell’articolazione con il bicipite; ⟶ nella parte superiore riguarda solitamente muscoli, cartilagine o legamenti e può essere di natura infiammatoria. 𝟑 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 Uno studio ha dimostrato come l’esercizio fisico regolare abbia effetti benefici pari, o superiori, all’assunzione di farmaci antinfiammatori [FANS]. Dedicare 10/15 minuti alla salute delle proprie spalle può essere utile sia a chi è nella fase di riabilitazione da un infortunio, sia a chiunque voglia lavorare sulla prevenzione di simili problemi. 𝟏° 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨: 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐧𝐝𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐂𝐨𝐝𝐦𝐚𝐧 È un esercizio che ha un obiettivo chiaro: aumentare lo spazio tra la testa dell’omero e l’acromion della spalla in modo da permettere ai muscoli e ai tendini – in particolare al sovraspinato – di non essere compressi, scivolare in modo naturale, e alle braccia di compiere movimenti completi senza avvertire dolore. Per effettuare l’esercizio, bisogna appoggiarsi a un tavolo o sdraiarsi proni, ossia a pancia in giù, avendo l’accortezza di tenere il braccio fuori dal letto. Se possibile, sarebbe meglio indossare una polsiera con un peso di circa mezzo chilo; in alternativa è possibile impugnare una bottiglietta d’acqua sempre dello stesso peso. A questo punto bisogna effettuare dei movimenti circolari, come se il braccio fosse un pendolo, appunto. Bisogna eseguirlo per circa 2 minuti in senso orario e 2 minuti in senso antiorario, 3 volte al giorno. 𝟐° 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨: 𝐬𝐨𝐥𝐥𝐞𝐯𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐫𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐬𝐮𝐥 𝐩𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐩𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞 Da seduti, con la schiena aderente allo schienale della sedia o comunque diritta, impugnare il manubrio [o la bottiglia d’acqua] tenendo il braccio teso e sollevarlo fino al piano delle spalle. È importante non tenere il braccio troppo parallelo allo schienale ma nemmeno troppo frontale: circa a metà fra queste due posizioni sarebbe l’ideale. Come per il precedente esercizio, va bene ripetere il movimento 10 o 15 volte, per tre serie, con due minuti di riposo fra l’una e l’altra. 𝟑° 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨: 𝐚𝐥𝐥𝐮𝐧𝐠𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐚𝐥𝐞 Lo stretching [allungamento muscolare] può essere utile per smorzare i sintomi dolorosi. Da sdraiati proni [pancia in giù] stendere completamente il braccio interessato, in modo che aderisca al terreno, con il palmo della mano rivolto verso il basso. Con l’altro braccio, spingere progressivamente in modo da sollevare la spalla opposta a quella del braccio dolente, in modo da “stirare” gradualmente l’intera muscolatura dell’arto. L’ideale sarebbe mantenere la posizione per 20-40 secondi ma è necessario fare attenzione: se quest’esercizio risulta troppo doloroso è bene lasciar perdere subito ed attendere che i muscoli siano nella condizione adatta per tornare a metterlo in pratica. L'elaborazione del dolore dopo un trattamento è importante.
La ferita nel nostro corpo può essere paragonata alla fessura nel guscio di un'ostrica che nasconde la perla al suo interno. I minuscoli pulviscoli all'interno di un'ostrica si trasformano in una perla, ma l'ostrica e la perla rimangono in un luogo angusto e oscuro fino a quando qualcuno non li coglie e non li porta alla luce. Così à volte la sofferenza apparentemente ci divide, interrompe il flusso tra noi e l'ambiente, rompe un'integrità come una frattura tra noi e gli altri. Qualsiasi evento dell'esistenza ci costringa a inoltralci nuovamente in quegli abissi, mostrerebbe inevitabilmente l'intimo legame tra la nostra sofferenza e la possibilità di riemergere. Il dolore è legato al condizionamento, alla percezione che abbiamo dello stimolo e della realtà.
Il dolore non è una risposta definita dell'organismo ma un fenomeno, un'esperienza, costituita da stimoli esterni e interpretazioni interne. In questo articolo vedremo come risolvere un problema che può essere fonte di sintomi e dolori molto fastidiosi: sto parlando della periartrite scapolo omerale.
Periartrite scapolo omerale è un termine generico per indicare l’infiammazione dei tendini della spalla, situazione che si accompagna spesso a dolore notturno e a difficoltà nel muovere il braccio, a volte anche con movimenti semplici (ad esempio mettersi la giacca). Andremo a vedere cosa significa avere la periartrite scapolo omerale e cosa la causa (per evitare di ricaderci una volta risolta). Ovviamente, vedremo una strategia efficace per migliorare e risolvere il problema. Questa strategia è stata testata su centinaia di persone in uno studio dell’università di Sheffield. Ok, iniziamo! ![]() “Ieri mi sono allenato e oggi sono pieno di dolori da acido lattico” Ti è mai capitato di accusare dolori muscolari il giorno successivo all’allenamento? Alcuni ti avranno detto che il principale responsabile di quei dolori è l’acido lattico, FALSO! L’acido lattico, o meglio il lattato, è prodotto durante una attività anaerobica intensa, il livello di concentrazione di acido lattico nel sangue e nei muscoli diminuisce sino a tornare a livelli normali dopo 30-60 minuti dall'esercizio. In realtà il dolore post allenamento è da attribuirsi alla micro lesione di alcune fibre muscolari a seguito dello sforzo. Questo fenomeno è conosciuto come DOMS ( Delayed onset muscle soreness o dolore muscolare a insorgenza ritardata) si avverte un giorno o due dopo una esercitazione impegnativa e deriva prevalentemente da contrazioni eccentriche. È associato a vere e proprie micro lesioni del tessuto muscolare. Studi dimostrano la presenza di particolari enzimi dopo un intenso esercizio fisico, tali enzimi sono correlati a lesioni strutturali delle membrane muscolari. Queste lesioni scatenano una serie di eventi tra cui l’incremento del turnover delle proteine muscolari, in poche parole i tuoi muscoli ricostituiscono le fibre lesionate in numero maggiore di prima. Questa tortura è probabilmente necessaria per ottimizzare la risposta all’allenamento (gli studi sono ancora in corso). Il DOMS scompare in circa 96 ore, è un fenomeno fisiologico e necessario. Come puoi prevenire o minimizzare questo dolore? Inizia l’allenamento con una bassa intensità e aumentala progressivamente, quando il dolore si presenterà (specie nella fase iniziale della stagione di preparazione) l’utilizzo del ghiaccio, lo stretching e l’attività muscolare blanda ti possono aiutare. Alimentati in maniera corretta (rivolgiti a un nutrizionista o a un dietologo, sarà in grado di suggerirti la dieta ideale per il tuo sport). Allenati con costanza e sicuramente i tuoi dolori diminuiranno. Fonte: si ringrazia per l'articolo il collega Dr. Marco Giuseppini ![]() Lo Studio "Mindfulness-Oriented Recovery Enhancement for Chronic Pain and Prescription Opioid Misuse: Results From an Early-Stage Randomized Controlled Trial" pubblicato da un gruppo di ricercatori dell'Università dello Utahsul Journal of Consulting and Clinical Psychology ha mostrato una nuova terapia percombattere il dolore cronico, a dispetto dell'attuale utilizzo di oppiacei, non privi di effetti collaterali. Questa nuova tecnica, il MORE (Mindfulness-Oriented Enhancement Recovery), consiste in una una sorta di meditazione relativa ai propri pensieri, azioni, sensazioni ed emozioni. Il suo fine ultimo è l’accettazione di sé, e si base principalmente su tre concetti la "formazione di Consapevolezza" (Mindfulness training), la "Rivalutazione" (Reappraisal) e l'"Assaporamento" (Savoring). Lo studio controllato randomizzatoha coinvolto 115 pazienti cronici suddivisi in 2 gruppi: uno assegnato alla terapia MORE, l'altro alla terapia di gruppo convenzionale, per 8 settimane. Il primo gruppo (MORE) ha evidenziato una riduzione del 63% nell'uso di oppiacei ed una riduzione significativa del dolore, mostrando l'interconnessione tra mente e corpo. Fonte: University of Utah http://unews.utah.edu/news_releases/mind-over-matter-beating-pain-and-painkillers/ Abstract: http://psycnet.apa.org/psycinfo/2014-03888-001/ |
ATTENZIONE LEGGEREIl dottor Paonessa non rilascia AutoriMarco Paonessa Archivio
November 2024
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