Negli ultimi anni la critica alla terapia manuale si è inasprita a tal punto che il fisioterapista e professore Dr. Chad E. Cook ha definito questa corrente di pensiero “demonizzazione”.
Egli identifica otto differenti aspetti di questa corrente di pensiero, analizzandoli alla luce dell’attuale letteratura scientifica. Lo scopo di questo lavoro di sintesi è quello di accendere la discussione, dissipare falsi presupposti e restituire ai pazienti una terapia basata sull’evidenza. L’autore ritiene che in medicina, non di rado, quando una cosa non piace o non è compresa viene demonizzata. La storia è ricca di esempi in tale senso: il “ridicolo iniziale” del lavaggio antisettico delle mani, l’angioplastica coronarica percutanea transluminale, le relazioni tra virus e cancro, il contributo dei batteri nello sviluppo delle ulcere e il ruolo dell’ereditarietà nello sviluppo delle malattie. Per ciascuno di questi esempi, gli scettici hanno tentato di screditare il presupposto concettuale pur non avendo prove a sostegno delle loro affermazioni. L’obiettivo di questo tipo di atteggiamento era la demonizzazione. Fisioterapia per la vulvodinia: cos'è e come curarlaIn questo articolo parleremo di come affrontare con la fisioterapia per la vulvodinia questo tipo di problematica.
Iniziamo a definire meglio cosa si intende per vulva: La vulva è la terminazione e l’apertura esterna degli organi genitali femminili esterni, situata nella parte anteriore del perineo, al centro di un complesso di formazioni cutanee di protezione, concentriche l’una all’altra, la più interna delle quali delimita una piccola cavità, detta vestibolo della vagina, nella quale si apre il canale vaginale. ERNIA DEL DISCO O PROTRUSIONE?
Che dolore ! Il disco intervertebrale può essere paragonato ad un cuscinetto di ammortizzazione situato tra le nostre vertebre. Questo è costituito da una zona centrale gelatinosa (composta per 85% da acqua) che attutisce i colpi, i carichi quotidiani ed i movimenti di rotazione ed inclinazione delle vertebre ed una parte periferica fibrosa. Spesso durante il giorno, a causa degli stimoli a cui sottoponiamo i dischi, questi riducono il loro spessore, mentre la notte lo riacquistano. Ciò avviene perchè il disco è irrorato da alcuni piccoli vasi sanguigni, tramite cui elimina sostanze di rifiuto e liquidi e recupera sostanze nutritive e liquidi grazie alle variazioni di pressione che avvengono durante i movimenti della colonna. Lo sapevate? Il sovraccarico, causato da posture errate, porta il disco a non riuscire più a recuperare il liquido perso disidratandosi definitivamente. Questo può essere alla base di dolori, artrosi, schiacciamenti vertebrali. Posture errate e traumi sono alla base di diverse degenerazioni del disco e quindi di PROTRUSIONI o di ERNIE DEL DISCO. Ma quali sono le differenze? In entrambi ci sono forti dolori di schiena, colpi della strega, desensibilizzazione, perdita di forza e di riflessi. Ma... La protrusione è caratterizzata da un processo di degenerazione del disco che a causa di un trauma o di eccessivo carico, spinge contro la parte fibrosa deformandola. Questa deformazione avviene quasi sempre verso la parte posteriore. La protrusione è un processo che, se preso in tempo e curato con esercizi specifici associati ad esercizi di rinforzo muscolare ( rieducazione posturale) e terapia manuale ( massaggi) ,può stabilizzarsi e non evolvere in ernia! Per questo va presa in tempo . ...L' ERNIA del disco è un'evoluzione di una protrusione o una degenerazione dovuta ad un trauma. Le cause sono simili a quelle di una protrusione, ma l'evoluzione è diversa. Perché? Mentre la protrusione è una degenerazione meno grave del disco, l'ernia è un'alterazione definitiva che può richiedere l'intervento chirurgico. Nell'ernia si instaura un danno anatomico dell'anulus fibroso, che si rompe sotto la spinta del nucleo polposo, esce fuori e va a comprimere le strutture nervose. In questo caso, il dolore è evidente e spesse volte, nei casi più gravi, si ricorre all' operazione chirurgica. Prevenire è meglio che curare I tendini sono robuste strutture anatomiche che creano connessione tra i muscoli e le ossa. Si parla di tendinite quando uno o più tendini manifestano un processo infiammatorio.
Le cause principali che possono portare all’insorgere di una tendinite sono di solito legate a una scorretta esecuzione del movimento (soprattutto in ambito sportivo) o alla mancanza di riscaldamento, vizi posturali, sforzi eccessivi e ricorrenti ecc. La terapia comprende il riposo, l’utilizzo del ghiaccio o di anti infiammatori e manipolazioni osteopatiche che hanno lo scopo di aumentare il drenaggio locale e ridurre quindi l’infiammazione presente, oltre a delle mobilizzazioni delle articolazioni. Il tutto con anche la terapia fisioterapia Ernia del Disco
L'osteopatia non cura nè guarisce da patologia da ernia del disco ma può essere un valido alleato nella gestione del dolore da essa provocato. L'Osteopatia diminuisce la compressione esercitata dal disco, facilita il drenaggio d'infiammazione provocato dall'ernia e agisce sui compensi a distanza che sono causa o effetto di essa. Questo porterà nel BREVE TEMPO ad un'attenuazione del dolore e nel LUNGO TERMINE il recupero funzionale della colonna vertebrale e conseguente miglioramento di postura del paziente. Osteopatia e cicatrici.
Il trattamento osteopatico è utile per la cura di aderenze dei piani fasciali (la fascia è il tessuto connettivo sotto il derma) che si sono venute a creare a causa di cicatrici patologiche e che sono fonte di disturbi, anche in punti distanti del corpo. Le aderenze cicatriziali accumulano tensioni e generano problemi di mobilità dei tessuti circostanti, od ostacolano la circolazione sanguigna o linfatica; in pratica limitano i nostri movimenti. L’osteopata è in grado di individuare e trattare le tensioni dovute alle cicatrici, al fine di ripristinare la mobilità tessutale. L'osteopatia e la fisioterapia possono offrire un valido aiuto e supporto per gli sportivi, sia per migliorane le performance atletiche e sia per ridurre i tempi di recupero da infortuni o sforzi muscolari.
Dagli adolescenti alle persone anziane, il dolore al ginocchio può interessare moltissime categorie di pazienti differenti.
Questo avviene perché, sebbene esistano ovviamente dei fattori di rischio comuni, sono diverse le condizioni e le patologie che possono determinare un tale sintomo. Le patologie che possono essere responsabili del dolore sono molte e molto diverse fra loro: da una semplice tendinite, che può colpire a qualsiasi età ed è di solito causa di dolori solo nel corso dell’attività fisica, alla lesione del menisco o del legamento crociato anteriore, fino alla gonartrosi che è presente in moltissimi fra i pazienti meno giovani. Anche alcune patologie autoimmuni e del metabolismo [come la gotta, il lupus, le varie forme di artrite ed il diabete] possono essere determinanti nella genesi del problema ed intensificarne effetti e sintomi. 𝐃𝐢𝐬𝐭𝐨𝐫𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐠𝐢𝐧𝐨𝐜𝐜𝐡𝐢𝐨 Il meccanismo che provoca la distorsione, in genere, è una torsione del ginocchio verso l’esterno o verso l’interno. A seguito di un movimento scorretto o di un colpo particolarmente violento, si può infatti verificare un trauma che, pur non lesionando completamente uno [o più] dei legamenti che stabilizzano il ginocchio, provoca un danno che causa dolore. Non è raro un trauma del genere in sport cui sono previsti cambi di direzione repentini, come, ad esempio, nello sci o nel tennis: questi movimenti possono portare ad una torsione eccessiva della gamba, che va tenuta sotto controllo immediatamente. 𝐀𝐫𝐭𝐫𝐢𝐭𝐞 𝐞 𝐀𝐫𝐭𝐫𝐨𝐬𝐢 Si tratta di due termini che sono spesso confusi fra loro ed indicano condizioni differenti [che purtroppo possono coesistere]. L’artrosi è una condizione patologica che determina il deterioramento delle cartilagini che normalmente servono proprio a ridurre l’attrito fra le superfici articolari. Il deterioramento delle cartilagini può essere una conseguenza del normale processo di invecchiamento dei tessuti oppure di traumi o sovraccarichi di lavoro. L’artrite è invece una malattia autoimmune, le cui cause non sono ancora state perfettamente chiarite. Può colpire chiunque, a qualsiasi età, anche se è più diffusa nel sesso femminile ed in età avanzata. Scatena l’infiammazione delle articolazioni, alimentando sintomi dolorosi. Può arrivare a determinare la deformazione delle articolazioni che “attacca” con ovvie ripercussioni sulla qualità della vita di chi ne è affetto. 𝐋𝐞𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐦𝐞𝐧𝐢𝐬𝐜𝐚𝐥𝐢 Le patologie meniscali, come la rottura di un menisco, ha essenzialmente origine traumatica. Il menisco è sostanzialmente una guarnizione che serve per proteggere la cartilagine e favorisce la cinetica del ginocchio; la medicina e la chirurgia si sono molto evolute nel tempo e – ad oggi – l’approccio è molto più conservativo per questo tipo di lesioni. Mentre in passato bastava una diagnosi di menisco lesionato o degenerato, attraverso risonanza magnetica, per eliminare chirurgicamente il menisco, oggi si cerca di essere selettivi, cercando di suturarlo. L’operazione di rimozione avviene oggi solo in presenza di lesioni instabili e di blocchi articolari o, ancora, si cerca di procedere con una meniscectomia selettiva, cercando di ricreare il più possibile la forma anatomica del menisco stesso. 𝐋𝐞𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐥𝐞𝐠𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨𝐬𝐞 La rottura del legamento crociato anteriore viene oggi riparata con tecniche ricostruttive sempre più innovative che portano ad un recupero intorno al 100%. Una volta si tendeva ad operare soltanto gli atleti sportivi professionali: oggi le indicazioni si sono molto allargate in quanto anche persone di una certa età che praticano sport e che quindi hanno un’esigenza funzionale importante, possono sottoporsi a questo intervento di ricostruzione legamentosa. Soprattutto in un chirurgo che crede molto nella ricostruzione artroscopica quest’intervento viene fatto per ridare una stabilità il più possibile anatomica al ginocchio, e per evitare eventuali deformazioni artrosiche che possono portare all’artrosi di ginocchio e alla protesica. Ricostruire un crociato in una persona – indipendente dall’età – con delle esigenze funzionali importanti e una buona cartilagine, può salvare il ginocchio dall’artrosi. 𝐈𝐥 𝐦𝐞𝐭𝐨𝐝𝐨 𝐏.𝐎𝐋.𝐈.𝐂.𝐄. Oggi vogliamo invece concentrarci su cosa fare per rimediare al dolore al ginocchio lieve, analizzando in particolare un metodo comunemente usato in questi casi, ovvero il metodo P.OL.I.C.E. ⟶ 𝐏 = 𝐏𝐫𝐨𝐭𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 Proteggere [senza immobilizzare definitivamente] l’area infortunata per evitare ulteriori danni ai tessuti. Questo può avvenire, ad esempio, utilizzando delle stampelle; ⟶ 𝐎𝐋 = 𝐎𝐩𝐭𝐢𝐦𝐚𝐥 𝐋𝐨𝐚𝐝𝐢𝐧𝐠 [𝐂𝐚𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐨𝐭𝐭𝐢𝐦𝐚𝐥𝐞] Ovvero stimolare il processo di guarigione dei tessuti danneggiati con la giusta quantità di carico e di attività. Questo è il punto chiave del nuovo protocollo, che si discosta dalla più vecchia ipotesi di riposo assoluto. È compito dell’équipe riabilitativa indicare quale sia tale quantità di carico; ⟶ 𝐈 = 𝐈𝐜𝐞 [𝐠𝐡𝐢𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨] Avvolgere del ghiaccio in un telo e metterlo a contatto con il ginocchio. La bassa temperatura ridurrà l’infiammazione causata dall’aumento del flusso sanguigno. Si consiglia di tenere in posizione il ghiaccio sul ginocchio per non più di 20 minuti consecutivi e per un minimo di 3 volte al giorno; ⟶ 𝐂 = 𝐂𝐨𝐦𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 Applicare una medicazione alla zona colpita aiuterà a ridurre l’infiammazione e il gonfiore che ne risulta. Una volta bendata l’area, bisogna assicurarsi che la fasciatura non sia troppo stretta e che quindi il ginocchio non si senta costretto, ma possa mantenere una certa mobilità. Nel caso in cui la medicazione risultasse troppo stretta, consigliamo di applicarla nuovamente e di utilizzare una benda elastica [non plastica]; ⟶ 𝐄 = 𝐄𝐥𝐞𝐯𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 Sembra un classico rimedio della nonna, ma mantenere il ginocchio distorto in posizione elevata può davvero aiutare ad alleviare il dolore. L’ideale sarebbe posizionare il piede su una superficie morbida ad una altezza più alta del cuore. In presenza di infiammazione il corpo tende a far arrivare il sangue al sito infiammato. Facendo defluire il sangue, mantenendo la gamba elevata, si allevia l’infiammazione allontanando i mediatori chimici dell’infiammazione. La fisioterapia è molto importante Il dolore alla spalla è uno dei sintomi più comuni nelle persone che hanno superato i 40 anni di età: per diffusione nella popolazione è secondo solo al mal di schiena.
𝐈𝐧𝐭𝐫𝐨 Può essere di intensità differenti, manifestandosi come un leggero fastidio quando si muove il braccio, oppure come un dolore intenso presente anche di notte, di solito accompagnato da una limitazione dei movimenti. 𝐂𝐚𝐮𝐬𝐞 La causa più frequente del dolore alla spalla è l’infiammazione di uno [o più] tra i tendini che permettono la maggior parte dei movimenti del braccio. Questi tendini sono quattro: il sovraspinato; il sottoscapolare; il piccolo rotondo; il sottospinato. A questa si aggiungono le 5 principali patologie: ⟶ sindrome da impingement; ⟶ tendinite calcifica; ⟶ lesione alla cuffia dei rotatori; ⟶ spalla congelata; ⟶ lussazione. 𝐒𝐢𝐧𝐭𝐨𝐦𝐢 Spesso il dolore sveglia di notte e nessuna posizione sembra dare sollievo; oppure si manifesta nel compiere movimenti normalissimi, come sollevare il braccio per prendere un barattolo o indossare la giacca. Una volta escluso che i sintomi possano derivare da una causa non meccanica [ad esempio l’artrite reumatoide, una patologia autoimmune che può determinare dolore articolare], identificare la sede del dolore con l’aiuto di uno specialista ci può essere d’aiuto nel comprendere quale sia il rimedio più opportuno da adottare per risolvere il problema. Il dolore può infatti interessare diverse parti della spalla: ⟶ localizzato sul lato esterno, riguarda spesso la cuffia dei rotatori e può essere causato da borsite o tendinite; ⟶ nella parte posteriore può interessare il muscolo trapezio: talvolta scaturisce da una borsite o da una contrattura muscolare; ⟶ nella parte anteriore può derivare da una tendinite o dalla sindrome di impingement ed è spesso conseguenza di problemi nell’articolazione con il bicipite; ⟶ nella parte superiore riguarda solitamente muscoli, cartilagine o legamenti e può essere di natura infiammatoria. 𝟑 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢 𝐝𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 Uno studio ha dimostrato come l’esercizio fisico regolare abbia effetti benefici pari, o superiori, all’assunzione di farmaci antinfiammatori [FANS]. Dedicare 10/15 minuti alla salute delle proprie spalle può essere utile sia a chi è nella fase di riabilitazione da un infortunio, sia a chiunque voglia lavorare sulla prevenzione di simili problemi. 𝟏° 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨: 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐧𝐝𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐂𝐨𝐝𝐦𝐚𝐧 È un esercizio che ha un obiettivo chiaro: aumentare lo spazio tra la testa dell’omero e l’acromion della spalla in modo da permettere ai muscoli e ai tendini – in particolare al sovraspinato – di non essere compressi, scivolare in modo naturale, e alle braccia di compiere movimenti completi senza avvertire dolore. Per effettuare l’esercizio, bisogna appoggiarsi a un tavolo o sdraiarsi proni, ossia a pancia in giù, avendo l’accortezza di tenere il braccio fuori dal letto. Se possibile, sarebbe meglio indossare una polsiera con un peso di circa mezzo chilo; in alternativa è possibile impugnare una bottiglietta d’acqua sempre dello stesso peso. A questo punto bisogna effettuare dei movimenti circolari, come se il braccio fosse un pendolo, appunto. Bisogna eseguirlo per circa 2 minuti in senso orario e 2 minuti in senso antiorario, 3 volte al giorno. 𝟐° 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨: 𝐬𝐨𝐥𝐥𝐞𝐯𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐫𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐬𝐮𝐥 𝐩𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐬𝐜𝐚𝐩𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞 Da seduti, con la schiena aderente allo schienale della sedia o comunque diritta, impugnare il manubrio [o la bottiglia d’acqua] tenendo il braccio teso e sollevarlo fino al piano delle spalle. È importante non tenere il braccio troppo parallelo allo schienale ma nemmeno troppo frontale: circa a metà fra queste due posizioni sarebbe l’ideale. Come per il precedente esercizio, va bene ripetere il movimento 10 o 15 volte, per tre serie, con due minuti di riposo fra l’una e l’altra. 𝟑° 𝐞𝐬𝐞𝐫𝐜𝐢𝐳𝐢𝐨: 𝐚𝐥𝐥𝐮𝐧𝐠𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐚𝐥𝐞 Lo stretching [allungamento muscolare] può essere utile per smorzare i sintomi dolorosi. Da sdraiati proni [pancia in giù] stendere completamente il braccio interessato, in modo che aderisca al terreno, con il palmo della mano rivolto verso il basso. Con l’altro braccio, spingere progressivamente in modo da sollevare la spalla opposta a quella del braccio dolente, in modo da “stirare” gradualmente l’intera muscolatura dell’arto. L’ideale sarebbe mantenere la posizione per 20-40 secondi ma è necessario fare attenzione: se quest’esercizio risulta troppo doloroso è bene lasciar perdere subito ed attendere che i muscoli siano nella condizione adatta per tornare a metterlo in pratica. 𝐂𝐡𝐞 𝐜𝐨𝐬'𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐬𝐩𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐠𝐞𝐥𝐚𝐭𝐚?
La spalla congelata è una patologia infiammatoria molto dolorosa della spalla. Ma perché, se solitamente un'infiammazione viene associata al caldo, in questo caso avviene il contrario e addirittura si associa al congelamento? Presto detto: l'infiammazione causa un ispessimento del tessuti così doloroso che il nostro organismo mette in atto un meccanismo di autodifesa che di fatto blocca [congela] la spalla, prevenendo l'aggravarsi della lesione. 𝐐𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐥𝐞 𝐜𝐚𝐮𝐬𝐞? Le cause sono da ricercarsi nella correlazione con: ⟶ patologie primarie come il diabete, malattie autoimmuni, malattie della tiroide; ⟶ patologie secondarie come una lesione tendinea della cuffia dei rotatori; ⟶ somatizzazione di alcune patologie psicologiche. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐥𝐚? I due sintomi più importanti e comuni sono: ⟶ dolore intenso, soprattutto di notte, ⟶ difficoltà a compiere movimenti. Il dolore di solito si concentra nella parte superiore della spalla ma può estendersi all’intero distretto anatomico, anche perché la spalla congelata può essere conseguenza di un trauma subito o del deterioramento di alcune delle strutture anatomiche circostanti, come per esempio la cuffia dei rotatori. I sintomi dolorosi all’inizio della patologia di solito sono legati al movimento del braccio, ma nelle fasi successive possono manifestarsi anche a riposo. Non sono pochi i pazienti che considerano estremamente fastidioso il disturbo che può recare al sonno, costringendo chi è affetto dalla capsulite adesiva a prestare molta attenzione alla posizione in cui dorme per non essere svegliato dal dolore a seguito di un involontario movimento “sbagliato”. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐞𝐯𝐨𝐥𝐯𝐞 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐭𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐚? La spalla congelata solitamente segue un decorso che si può riassumere in tre fasi: ⟶ la fase detta di “raffreddamento”, durante la quale la spalla perde progressivamente mobilità ed il dolore aumenta. Può durare da sei settimane a nove mesi; ⟶ la fase detta “congelamento”, durante la quale il dolore migliora leggermente ma la rigidità articolare è al massimo. Il raggio dei movimenti possibili è minimo e in genere si verifica dai quattro ai nove mesi; ⟶ la fase detta di “disgelo”, dalla durata molto variabile [tra i sei mesi ed i due anni], durante la quale il dolore e la rigidità dell’articolazione si risolvono lentamente. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨 𝐜𝐮𝐫𝐚𝐫𝐥𝐚? Il movimento può essere recuperato attraverso un buon protocollo rieducativo che include – molto spesso – l’intervento chirurgico in artroscopia di liberazione a 360°della capsula [capsular release] intorno alla glena, facendo di fatto recuperare il movimento articolare. Se la spalla congelata è associata a una lesione tendinea, è possibile comunque risolvere entrambe le patologie in un unico atto operatorio. In buone mani chirurgiche e in buone mani fisioterapiche si può dunque eseguire, in un unico atto, sia la riparazione del tendine, quindi la causa principale che porta al blocco della spalla, sia “sbloccare” la spalla stessa. Successivamente è fondamentale la fisioterapia |
ATTENZIONE LEGGEREIl dottor Paonessa non rilascia AutoriMarco Paonessa Archivio
Novembre 2024
Categorie
Tutti
|